Per risolvere questo conflitto, secondo Loughnan, Haslam e Bastian, le persone applicano una serie di soluzioni. La prima è smettere di mangiare carne, banalmente, in modo da non provare più sentimenti negativi determinati dall’incoerenza tra l’amore per gli animali e il cibarsene. Un’altra è indebolire attraverso diverse abitudini e pratiche umane consolidate – tra cui l’agricoltura aziendale su larga scala – la relazione tra gli animali e la carne, offuscare quella relazione attraverso i vari processi lungo la catena di produzione, in modo da non mettere sullo stesso piano il manzo ordinato al ristorante e le mucche che pascolano. E un altro modo ancora di risolvere la dissonanza cognitiva, suggerì lo studio, è privare gli animali di uno status morale e negare la loro capacità di soffrire.


Mentre le ricerche precedenti avevano infatti dimostrato che la volontà di mangiare carne può essere ridotta dalla preoccupazione morale per gli animali, lo studio di Loughnan, Haslam e Bastian fu il primo a dimostrare sperimentalmente il processo inverso: mangiare animali porta a una minore preoccupazione morale. Ed è correlato anche a un restringimento del gruppo di animali meritevoli di considerazione morale.


Riferendosi alle persone onnivore che gli dicono di essere d’accordo con lui, Singer ha scritto che la maggior parte delle persone può continuare a fare qualcosa che ritiene sbagliato purché ci siano altre persone che lo fanno. E quelle che approvano la sua scelta e le sue riflessioni in realtà è come se dicessero «che hanno a cuore il benessere degli animali e il cambiamento climatico, ma non modificheranno le loro abitudini individuali finché non lo faranno tutti gli altri».