Nonostante l’indubbia attenzione che ottengono, però, queste classifiche sono da anni molto criticate. Un po’ perché si basano su criteri arbitrari, che riflettono poco la moltitudine di ruoli sociali e culturali che le università svolgono sul territorio. Un po’ perché sono progettate quasi sempre sulla base del sistema d’istruzione inglese e statunitense, che riflette male come funzionano le università nel resto del mondo. Un po’, semplicemente, perché non è chiaro a cosa servano, se non a indirizzare attenzione e fondi verso le società che le stilano e le università che figurano ai primi posti.


Non tutti i fattori hanno lo stesso peso sul punteggio finale, e alcuni sono estremamente soggettivi: QS, per esempio, basa gran parte del proprio punteggio (il 40 per cento del totale) sulla “reputazione accademica” di un’università, mentre THE dà molta più importanza all’”ambiente di apprendimento” e all’impatto della ricerca prodotta dagli atenei. «Molti indicatori hanno, nei migliori dei casi, una relazione indiretta con la qualità dei docenti o dell’istruzione», scrive Hazelkorn. «La loro influenza deriva dall’apparenza di obiettività scientifica».


A fronte del fatto che i ranking non riflettono effettivamente la qualità di gran parte delle università prese in esame – e che cercare di definire con un numero la qualità di un’istituzione sia di per sé impossibile – è difficile capire a chi servano, effettivamente, queste classifiche. Alcuni, cinicamente, ritengono che servano soprattutto alle riviste e alle società che le stilano: QS, per esempio, è già stata accusata di conflitto d’interessi in passato perché oltre a stilare le proprie influenti classifiche offre anche una serie di servizi di consulenza per le università stesse.

«Anche se cambiassero le metodologie, non cambierà il fatto che i ranking sono dei giochetti artificiali a somma zero», spiega la professoressa Jelena Brakovic. «Artificiali perché impongono una rigida gerarchia, e non è realistico che un ateneo possa migliorare la propria reputazione soltanto a scapito della reputazione di altre università. E artificiali perché la reputazione non è di per sé una risorsa scarsa, ma i ranking la fanno sembrare tale».